Formai de Mut

Dalle Alpi alle Ande...

Formai de Mut

Messaggiodi Estaff » 10/02/2007, 12:40

"Un piccolo capolavoro caseario delle nostre Alpi". Così è definito il Formai de Mut dell'Alta Valle Brembana ("L'Italia dei formaggi Doc", ministero agricoltura e foreste). Proviene unicamente da 21 comuni della provincia di Bergamo, non è facile quindi parlarne senza inevitabilmente rievocare paesaggi montani e vita rurale, dove il marchio europeo Dop sta lentamente adeguando alle necessità  moderne una realtà  che non sembrava minimamente intaccata dallo scorrere degli anni.
à? il primo formaggio lombardo, nel 1985, a ricevere il marchio a denominazione di origine, la Denominazione di origine protetta arriverà  solo nel 1996, ma nonostante l'ambizioso traguardo raggiunto, il Formai de Mut è poco noto ai consumatori, soprattutto se confrontato con gli altri 29 grandi formaggi a denominazione protetta.
Il curioso nome deriva dalla voce dialettale bergamasca "Mut" che indica genericamente la montagna o meglio l'alpeggio e i pascoli di alta quota che ospitano il bestiame da giugno a settembre. La dicitura "dell'Alta Valle Brembana" è indispensabile per specificare il prodotto protetto con il marchio di qualità . Questa valle è situata nella parte nord-occidentale della provincia di Bergamo: a nord il massiccio delle Alpi Orobie la separa dalla Valtellina, ad est confina con i contrafforti della Val Seriana ad ovest con le Valli Varrone e la Valsassina. Il fiume Brembo, nome quasi onomatopeico, la solca per una lunghezza di circa 26 km, ricamando con le sue acque vivaci un paesaggio fatto di mulini, antiche fucine, baite e lavoro quotidiano. All'interno di quest'area si distingue per la sua purezza una nicchia: è l'Alta Valle Brembana ovvero la parte più settentrionale della valle che dal restringimento della "Loggia", in prossimità  del comune di Lenna, si allarga a forma di imbuto fino al confine valtellinese delimitato dalle Alpi Orobie.
Reperire il Formai de Mut non è cosa facile, soprattutto se si è lontani dalla provincia bergamasca, e questa rarità  lo rende un formaggio da "intenditori". Ma se si ha la possibilità  di visitare la Valle Brembana è consigliata una sosta nel comune di Valtorta, dove nel 1950 un gruppo di agricoltori diede vita a una piccola latteria turnaria trasformata, nel 1954, in latteria sociale, che rappresenta la storia e la realtà  di questo prodotto. Nel 2000 la produzione si è attestata a quota 2.100 forme. Valtorta è un paesino di poco più di 400 abitanti, nascosto tra le valli, dove il sindaco, Pietro Busi, per risolvere il problema dello spopolamento ha deciso di offrire casa alle giovani coppie che decidono di rimanerci a vivere per più di 5 anni e, se la prole aumenta, 1 anno in più per ogni figlio. Un paesino che il primo sabato di quaresima si dipinge a festa per celebrare la fine del Carnevale, come vuole il rito ambrosiano, sfoggiando pittoresche maschere in legno scolpite dagli artigiani locali. Un paesino ancorato tenacemente alle sue antiche tradizioni montane, tanto da adibire un intero edificio nel centro del paese a museo etnografico nel quale sono stati raccolti gli strumenti di lavoro che fino alla prima metà  di questo secolo servivano per l'allevamento, per lavorare la terra e come utensili da cucina. "Tutte queste iniziative" spiega il sindaco, "possono sembrare quasi spregiudicate, ma sono le uniche che possono attirare gente a Valtorta che altrimenti rimarrebbe troppo emarginata dalla realtà  vallare". A Valtorta la latteria, raccogliendo il latte di 20 soci produttori, garantisce 750 lire per litro consegnato, alimentando così un'attività  come l'allevamento che nell'area impiega circa il 30% della popolazione locale. Oltre al Formai de Mut marchiato vengono prodotte altre gustose specialità  come gli Agrì e le Formagelle, anche se "negli ultimi anni" spiega Aldo Busi, presidente della latteria, "il numero delle aziende agricole è calato ed essendoci meno latte ci concentriamo maggiormente sulla produzione Dop". Storico personaggio e primo presidente della latteria è Abramo Milesi, un uomo ormai sopra la settantina che ha dedicato tutta la sua vita con passione alla produzione del Formai de Mut, e continuerebbe tuttora se l'età  non lo avesse convinto a ritirarsi in pensione. Nel 1949, dopo un'esperienza di lavoro in Piemonte, torna a Valtorta dove vi fonda una Cooperativa di Allevatori. L'anno successivo decide di sfruttare l'alpeggio del Camisolo per la lavorazione del formaggio. Posto a circa 2.000 metri, si racconta che un tempo sul Camisolo si producesse una specie di Gorgonzola ma che dopo essere stato affidato ai contadini valtellinesi sia stato abbandonato. Nel 1953 Milesi diventa il casaro ufficiale del Camisolo. Ad oggi il Formai de Mut prodotto su questo alpeggio è il più pregiato di tutta la produzione, e le sue forme vanno a ruba tanto da essere già  tutte vendute prima ancora di tornare a valle. "Prima andavamo su anche in dieci persone" ci spiega Milesi, riferendosi all'inizio della montificazione, "ed il Formai de Mut veniva prodotto quasi tutto in montagna, ma ora è il contrario perchà© ad andare su sono in pochi, solo tre o quattro. Troppo sacrificio!". E poi continua, "Anche io ci vado ancora... ma solo per controllare!".


La produzione

Il Formai de Mut dell'Alta Valle Brembana si produce durante tutto l'anno: nei mesi invernali nelle latterie di fondovalle, e in quelli estivi, da giugno a settembre, in alpeggio, tra i verdi pascoli alpini, dove le mucche di razza bruno alpina si alimentano di foraggio fresco, conferendo un sapore caratteristico al prodotto. Fino a poco tempo fa era consuetudine vedere le famiglie, guidate dalla presenza esperta e sicura dei mandriani (i bergamini) incamminarsi tra i sentieri tortuosi dei monti per raggiungere gli alpeggi e le baite. Questi sono locali rustici, spartani, formati da tre vani: uno per il deposito di legna, uno per la cucina e la camera da letto, ed il più grande destinato a "laboratorio" per la trasformazione del latte. E pertanto si snodava un lungo corteo animato da schiamazzi di bambini, rintocchi di campanacci (cioche), echi degli arnesi da lavoro che rimbombavano con suono acuto sul rame delle grosse caldaie (colere) impiegate per la cottura del formaggio. E ancora i secchi di legno per la raccolta del latte (soi), gli stampi circolari per il formaggio (fassere), le zangole per la produzione del burro (penacc) e per ultimi, ad aspettare che il bestiame fosse al completo, i famei, ovvero i pastorelli aiutanti del mandriano.
Oggi gli spostamenti si effettuano con i camion ed a "caricare" l'alpeggio non è più tutta la famiglia, ma solo il mandriano seguito da qualche aiutante. "Ai giovani non interessa esercitare questa professione", ci spiega Pietro Busi, "ed hanno anche ragione perchà© è veramente troppo faticosa. Servirebbe un cambiamento sociale di questo mestiere e renderlo più adatto alle esigenze dei tempi moderni per garantire una vita più normale a chi sceglie di farlo".
Tuttavia il processo di lavorazione è rimasto lo stesso di una volta. Si comincia all'alba, con una prima mungitura ed il latte raccolto, intero e non scremato, viene versato nelle ampie caldaie di rame, portato alla temperatura di 35-37°C e fatto coagulare con l'aggiunta di caglio in quantità  tale che il processo avvenga nel giro di 30 minuti. Si procede quindi alla rottura della cagliata, prima grossolanamente e poi finemente con l'aiuto dello spino (ol spin) ovvero un bastone di legno con rami sottili in cima, aumentando la temperatura fino ai 47°C. Segue un'ulteriore spinatura ma a fuoco spento per spurgare del tutto la cagliata dal siero. Quando la massa è interamente depositata la si estrae con grandi teli (pate) per sistemarla nelle fascere, degli stampi dove viene lasciata spurgare sotto un peso. Il siero ricavato non viene eliminato ma impiegato nella produzione di altre specialità  di alpeggio come i fiorì o la ricotta. La forma viene girata di frequente e dopo un paio di giorni si procede alla salatura. Per questa fase esistono due tecniche: si possono ricoprire a giorni alterni le facce del formaggio per una settimana, metodo seguito in alpeggio. Oppure si immergono le forme in vasche di cemento contenenti acqua e sale marino in giuste quantità  per 2 giorni, metodo usato a fondovalle. Segue infine la stagionatura: 40-45 giorni a temperatura costante di 12°C con circa il 98% di umidità , ma solitamente la si protrae fino ai 60. La tecnica di preparazione usata a fondovalle non si discosta molto da quella di alpeggio se non per il latte che, munto la mattina, viene aggiunto a quello della sera precedente lasciato riposare durante la notte in appositi contenitori di rame (ramine).

L'identikit

Il prodotto finito si presenta con queste caratteristiche: la forma è cilindrica e il diametro di circa 30-40 cm; lo scalzo è dritto o leggermente convesso di 8-10 cm; la crosta è sottile e liscia di colore giallo paglierino, tendente al grigio nelle forme più stagionate; la pasta è elastica, compatta, del tipo semicotto, di colore avorio con una piccola ma diffusa occhiatura che varia da 1 mm di diametro fino alle dimensioni cosiddette ad "occhio di pernice". Il sapore è delicato, fragrante, poco salato e arricchito, nel tipo di alpeggio, da un aroma particolare che inevitabilmente riporta alle erbe della Valle Brembana. Nel tipo più stagionato, può arrivare anche a sei mesi, invece il gusto risulta più deciso, quasi amaro, ma non troppo altrimenti diventa un difetto. Il logo del prodotto, marchiato sulla crosta, raffigura un campanaccio stilizzato di colore rosso, circondato dalla dicitura del nome. Lo si trova anche di colore blu, ed in questo caso si è fortunati. E' una forma prodotta in alpeggio.

Cucina&Vini di
Maggio 2001

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