Grasparossa di Castelvetro

Grasparossa di Castelvetro

Messaggiodi Estaff » 09/11/2006, 11:16

postato da Roberta

QUELLA CERTA IDEA DI LAMBRUSCO


Secco, abboccato, amabile,
un vino moderno
dal sapore antico.









La tentazione è di non considerarlo nemmeno un vino. Una bevanda sì, fresca e leggera o amabile e pastosa, ma da mangiare più che da bere. Infatti a tavola ci sta bene come pochi altri vini, tutti i giorni e per tutto il pasto. Persino quando à un po' abboccato. Persino quando à decisamente amabile. Perchà© il Lambrusco non sta senza il cibo, ma se uno "ne beve mezza bottiglia in un'ora di pasto, poi si alza tranquillamente, va a lavorare e non succede niente", come dice Pietro Pezzuoli, esuberante produttore in quel di Maranello.
Così la pensano nella capitale del Lambrusco, vale a dire Modena, cuore festoso dell'Emilia, terra di ceramiche, bel canto e motori, ma anche di una gastronomia esuberante della quale il Lambrusco à l'inevitabile complemento.
"Non c'à bisogno di fargli niente perchà© sia un vino che piace al consumatore" assicura Anselmo Chiarli, titolare della più storica azienda modenese, "à abbastanza leggero, à rosso, quindi ricco di polifenoli, non ha un gran contenuto alcolico, à fruttato, viene prodotto in versioni varie, anche dolce". E per di più à vivace. Insomma, ha un sacco di qualità  che vanno incontro al moderno consumatore, anche quello non troppo esperto. Infatti à lui il vino più venduto in Italia nella grande distribuzione insieme a Chianti e Barbera. "à? il prodotto che si sposa meglio con la distribuzione moderna" spiega Sandro Cavicchioli delle Cantine Cavicchioli di San Prospero che vantano il primato, secondo una recente indagine Nielsen, del Lambrusco più distribuito in Italia, "perchà© si beve giovane e permette rotazioni di stock molto veloci".
Ma non à solo una questione di identificabilità  sugli scaffali, nella quale svolge un ruolo importante il bollino rosso del Consorzio di Tutela Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi, che si occupa della sua promozione, come spiega il direttore Giorgio Cavazzuti. "Il Lambrusco à un vino intrigante, curioso, di compagnia, à allegro, un vino che si à sempre venduto da solo" ammette Pierluigi Sciolette, presidente del suddetto consorzio, ma anche consigliere delegato del gruppo Coltiva "forse per questo non à mai stato valorizzato come si poteva. Invece quella della vite à una cultura radicata da sempre nel modenese. Il duomo di Modena, di epoca romanica, ha le formelle con la vendemmia".
Che faccia parte delle radici culturali della gente à indiscutibile. Persino Pavarotti non manca di sottolineare pubblicamente il suo attaccamento per il Lambrusco. Insomma se lo fanno e se lo bevono e buona parte della produzione se ne va nel consumo locale, Emilia Romagna e dintorni. Purtroppo non piace solo a loro. E questo legame un po' labile con le tradizioni viticole ed il territorio, che troppo spesso lo ha fatto sembrare figlio solo di una tecnologia produttiva, nonostante le tre Doc attribuite nel 1970 a "Lambrusco di Sorbara", "Lambrusco Salamino di Santa Croce" e "Lambrusco Grasparossa di Castelvetro", ha portato a più di un fraintendimento. Soprattutto all'estero, dove sembra che vada circa il 40% della produzione, la versione amabile ha conquistato i mercati anglosassoni, in particolare gli Stati Uniti.
E questa storia del Lambrusco amabile ha pesato sulla storia recente dello sviluppo commerciale del Lambrusco. Nessuno ne parla volentieri, dell'illusoria scoperta dell'America degli anni Ottanta, dove si arrivò ad esportare circa 200 milioni di bottiglie l'anno. Si usciva dagli anni Settanta che avevano visto in tutta Italia la nascita dei supermercati, dei bottiglioni da due litri, della dilatazione delle produzioni. Gli anni in cui gli italiani bevevano ancora quasi 100 litri di vino pro capite l'anno, contro i circa 50 litri di oggi. Oltreoceano finì di tutto, dice qualcuno a denti stretti. Il mercato si sgonfiò all'improvviso.
Oggi i mercati Usa e Canada viaggiano sulla media di 30 milioni di bottiglie l'anno. "Purtroppo gli americani seguono le mode ed ancora oggi non hanno capito che il Lambrusco à un vino secco, che si usa per mangiare" ha dichiarato recentemente il wine writer Burton Anderson che conosce i suoi connazionali almeno quanto il Lambrusco e suggerisce "per capirlo dovrebbero venire qua e mangiare la cucina emiliana". Comunque à da lì che il mondo del Lambrusco ha voltato pagina. Un mondo fatto di piccoli e piccolissimi produttori che al 90% conferiscono le uve alle locali cantine sociali, dove avviene la prima lavorazione. Che à solo la metà  del cammino, perchà© contrariamente a quello che comunemente si pensa il Lambrusco non à un vino facile a farsi.
La sua tecnologia produttiva à costosa ed importante, praticamente à la stessa degli spumanti e richiede investimenti cospicui. Il vino base, infatti, deve subire una seconda fermentazione per acquisire la sua stuzzicante vivacità , insieme alla spuma rosata ed evanescente che rappresenta molta parte del suo fascino. Un tempo la rifermentazione avveniva spontaneamente in bottiglia, innescata dal residuo zuccherino del vino e dai primi caldi di primavera, in modo che tra maggio e giugno il vino nuovo era pronto da gustare. Oggi viene realizzata su grandi masse, nelle autoclavi d'acciaio a pressione, perchà© i consumatori non accettano più il lieve fondo che residua nella bottiglia. "La gente non riesce più a capire che il fondo potrebbe anche essere un pregio, perchà© ci sono i lieviti che in autolisi possono dare dei profumi", dice Italo Pedroni, oste a Rubbiara, ma anche produttore di Lambrusco di Sorbara e di aceto balsamico. Così "o ci si attrezza o si chiude", butta lì lapidario. Questo spiega perchà©, ad un certo punto, siano quasi spariti i piccoli produttori e siano rimaste solo ai grandi imbottigliatori tradizionali le responsabilità  di elaborare, rifermentare, commercializzare. Ma i giovani produttori non ci stanno. Alberto Paltrinieri, figlio di Gianfranco, produttore di tre generazioni nella zona del Cristo, il cuore del Sorbara, a metà  strada tra i fiumi Panaro e Secchia, dice "tante scelte in termini di investimenti tendono non solo a migliorare le condizioni di lavoro, ma anche il livello qualitativo del prodotto. Quindi la pressa pneumatica per la pressatura soffice, l'uso del freddo, le autoclavi ci vogliono. Non à solo una questione di lieviti selezionati o quant'altro, sono tutte pratiche che influiscono, ma poi à necessaria una struttura tecnica che permetta l'uso di certi strumenti". Molto sta cambiando anche nei vigneti, dove il tradizionale sistema di allevamento a Gdc, due tralci a frutto per ogni pianta, che permetteva di raggiungere i 180 quintali di resa ad ettaro sanciti dal disciplinare di produzione, vengono sostituiti da altri sistemi come il cordone speronato, così da ridurre le rese a meno di 100. Sul Grasparossa di Castelvetro, il più rosso e corposo dei tre Lambruschi, si sperimentano macerazioni più lunghe per conferirgli quel corpo e quella concentrazione che richiede oggi il mercato. "Quando mi sono vista i vini sulle bucce per così tanto tempo, ero un po' perplessa" ammette Maria Antonietta Munari Giacobazzi, titolare dell'azienda Villa di Corlo "ma aveva ragione l'enologo. Certo ha un colore ed un corpo inusuali per un Lambrusco, ma à un vino che sta piacendo". Con il Grasparossa ha cominciato a lavorare anche negli Usa. Gli importatori erano scettici a provare un Lambrusco, poi il prodotto à piaciuto e si sono arrischiati a comprarlo "sono partiti con 300 bottiglie" dice "figuriamoci, per loro sono niente. Sono riusciti a fatica a farlo assaggiare e da lì hanno cominciato a lavorare". "Essere nati solo vent'anni fa forse à stato un vantaggio" dicono Raffaella e Livia Manicardi, le titolari dell'azienda di Castelvetro, reduci da un viaggio in Sicilia dove hanno proposto con successo l'abbinamento del Lambrusco alla cucina dell'isola "ci siamo proposti subito nella buona ristorazione, dove la gente prima di dirti no assaggia il prodotto. Stiamo cercando di muoverci in tutta Italia. Voler vendere Lambrusco ai siciliani à tutto dire". Però ha funzionato. Così, mentre i piccoli produttori, quelli da meno di 100.000 bottiglie all'anno, vanno verso il rinnovamento tecnico e l'innovazione in vigneto (ma anche un grande gruppo come Civ & Civ ha chiesto ai suoi viticoltori di condurre la lotta integrata nei vigneti per ridurre i trattamenti), i grandi imbottigliatori viaggiano su convergenze parallele verso la segmentazione delle gamme e la rincorsa al cru o al vino di selezione aziendale, e non snobbano più un mercato che fa immagine, quello della ristorazione, delle enoteche e della piccola distribuzione.

Mille ed un Lambrusco

Dici Lambrusco e pensi Modena, montagne di tortellini e zamponi fumanti. Sulle tre denominazioni Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco Salamino di Santa Croce si basa la fama di questo vino. Derivati dall'addomesticamento della "Vitis labrusca" selvatica conosciuta già  ai tempi degli Etruschi e dei Romani, i vitigni con le attuali caratteristiche produttive sono stati fissati probabilmente attraverso selezioni avvenute nell'Ottocento. Il Lambrusco di Sorbara, da molti considerato il vero Lambrusco di Modena, à sicuramente il più ricordato nella storia ed il più blasonato. Definito già  nell'Ottocento Lambrusco "della viola" per questa nota aromatica caratteristica, ha un delicato colore rubino chiaro, un profumo fine e fruttato, un sapore elegante contraddistinto da una precisa nota acidula. Nasce da uve lambrusco di Sorbara (minimo 60%) e lambrusco salamino (massimo 40%). Viene prodotto nella zona classica a nord est di Modena, in terreni sciolti e sabbiosi compresi tra i fiumi Secchia e Panaro. Il Lambrusco Salamino di Santa Croce, di un rubino più intenso ed un sentore fruttato deciso, à noto per la sua vigoria e viene utilizzato nei vigneti di Sorbara per facilitarne l'impollinazione. Costituito per il 90% dall'uva omonima, può valersi dell'apporto di un 10% di altri lambruschi, ancellotta e fortana. Nasce su terreni sedimentari misti argillosi e sabbiosi a nord ovest di Modena. Il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro ha colori intensi dal rubino al violaceo, profumo ricco e vinoso, tradizionalmente vinificato anche abboccato o amabile, nasce dai compatti terreni collinari a sud di Modena. Composto da lambrusco grasparossa almeno all'85% e da altri lambruschi, fortana e malbo gentile, per il restante 15%. Tutti e tre insieme rappresentano una produzione di circa 260.000 ettolitri annui, vale a dire quasi 35 milioni di bottiglie.
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