Come è nato il lievito madre

Come è nato il lievito madre

Messaggiodi Estaff » 20/11/2006, 14:59

postato da Cuocpa

Sapete com'è nato il lievito madre? come per tutte le più grandi invenzioni à stato scoperto per caso!! sembra che i primi ad usarlo fossero stati gli egizi.

Infatti sembra che dopo una grande esondazione del Nilo tutte le riserve di farina fossero state raggiunte dall'acqua così che formatosi questo impasto fosse cominciato a lievitare facendo così il lievito madre al naturale!!

Informazione presa dal libro delle simili.




postato da Anicestellata
A proposito diâ?¦ le sorelle Simili


care amiche/i questa sezione della scuola di cucina la apro io con un racconto che ci farà  conoscere la storia meravigliosa di due famose sorelle...non à farina del mio sacco beninteso ma l'ho riportato da un periodico che ricevo a casa.

GEMELLE DIVERSE.

Le sorelle Simili a Bologna sono un mito. Parla di loro con deferenza ed incanto tanto chi le ha conosciute di persona, frequentando la leggendaria scuola di cucina che hanno gestito per anni nel centro della città , quanto chi, pur non avendole mai viste dal vivo, à rimasto affascinato dalle storie riportate da altri. L'esistenza di racconti entusiastici su chi non si conosce direttamente à un fatto abituale se si tratta di personaggi dello star system, mentre à piuttosto insolito che essi riguardino due donne anziane che hanno trascorso gran parte della loro vita a impastare farina. " In effetti" dicono Valeria e Margherita, gemelle diverse nell'aspetto, che tra qualche mese taglieranno il traguardo dei settant'anni " siamo un po' turbate da questo fenomeno, perchà noi siamo due semplici fornaie. Non siamo mica Rubbia o Rita Levi Montalcini ( anche se, secondo chi scrive, a richiamare il nostro premio Nobel concorrono in qualche modo l'età , lo splendido aspetto fisico e la nitida lucidità  mentale ) che hanno fatto qualcosa di molto importante per l'umanità . Noi insegniamo soltanto a fare il pane e la pasta, due cose semplicissime che tutti dovrebbero saper realizzare. Una volta eravamo in centinaia ad esercitare questa attività , mentre ora che siamo una rarità  questa per noi à una bella responsabilità ". Nella loro scuola di cucina, aperta in via San Felice nel 1986 e chiusa nel 2001, a gruppi di 12 alla volta sono passate negli anni circa 20 mila persone, perlopiù giovani donne desiderose di apprendere ciò che le mamme non avevano insegnato loro, oppure ultracinquantenni che, dopo una vita da impiegate, finalmente riscoprivano il piacere di cucinare ". A venirci a trovare erano anche parecchi uomini, soprattutto per imparare a fare la sfoglia o il pane. Ci ricordiamo di certi bei ragazzi...." chiosano in coro. "Alle donne, invece, insegnavamo a fare tutti i piatti della tradizione, quelli che avevamo imparato da nostra madre. In definitiva le istruivamo a preparare un pranzo completo, come quelli che si allestivano nei giorni di festa nelle famiglie emiliane. Per certi versi, nulla di eccezionale". Ma la leggendaria scuola di cucina à stata solamente una tappa della lunga vita di queste sorelle, che proviamo a tratteggiare mettendo in ordine la valanga di ricordi che in qualche ora Margherita e Valeria hanno fatto affiorare: " Abbiamo fatto tante cose e adesso, a settant'anni, i nostri ricordi si accavallano". Tutto inizia nel 1946, quando il padre Armando, fornaio da oltre 15 anni, decide di dare il suo nome al panificio inaugurato in via S. Felice. Valeria e Margherita hanno 10 anni. La mattina vanno a scuola mentre al pomeriggio, dicono: "Ci chiamavano giù a dare una mano, perchà si panificava anche per la sera. Noi ci si divertiva molto, perchà impastare e fare tutte quelle forme diverse era un gioco. Così intanto abbiamo imparato un mestiere". Il forno Simili era molto grande, con 12 addetti tra fornai e commessi, e presto le due sorelle affiancarono il padre nella conduzione. "Sono stati anni indimenticabili, eravamo un'istituzione a Bologna e servivamo il nostro pane a circa 700 famiglie; nel 1973 abbiamo anche vinto il concorso "Il mio fornaio preferito" istituito dal Resto del Carlino". Intanto Armando invecchia e decide di vendere il forno così, dal 1979 al 1985, Margherita e Valeria gestiscono da sole un vecchio forno in via Frassinago. E' qui che, seguendo la leggenda, le Simili avrebbero inventato le streghe, le piccole gallette croccanti che si trovano solo a Bologna.
"A dire la verità  esistevano da molto tempo perchà in ogni forno era consuetudine impastare piccole sfoglie di acqua e farina, con una minima aggiunta di olio e sale grosso. Le si cuoceva solo per saggiare il calore del forno; da come bruciacchiavano - da qui il termine gergale di streghe - si capiva se il forno era pronto. Non le si preparava per la vendita, ma soltanto per questo scopo: noi abbiamo semplicemente intuito che valeva la pena farle bene per proporle in alternativa a grissini e cracker". Nelle vicinanze di questo piccolo esercizio si trovavano parecchi edificio scolastici e fu proprio per merito di scolari e studenti che i buoni prodotti delle due sorelle divennero noti. " All'entrata del negozio c'era un cesto con le streghe che riuscivano meno bene e i bambini potevano prenderle gratuitamente. Bisognava esserci, facevano a gara per venire da noi, anche a costo di fare tardi a scuola. Poi capitava che le assaggiavano anche i genitori ed il gioco era fatto. Con la scusa di accompagnarli a scuola venivano da noi a fare la spesa. Rimpiangiamo molto le botteghe, soprattutto quella di via Frassinago, perchà lì avevamo l'opportunità  di conoscere molta gente, che per un istante ospitavamo come a casa nostra: molti li vedevamo anche due volte al giorno, perchà a quell'epoca c'era la bella abitudine di panificare anche al pomeriggio perchà alcuni il pane venivano ad acquistarlo fresco per la cena. Di questi uomini e donne, in specie delle donne, sapevamo un pò tutto, gioie e dolori. Venivano per la spesa, ma anche per scambiare due parole, per sfogarsi o per avere un consiglio su questioni che li riguardavano. Quando ne incontriamo alcuni per strada ci ricordiamo ancora se prendevano il 'mustafà ', il 'montasù' o la 'crocetta' ". Poi, a forza di dare indicazioni a chi, venendo a comprare il pane, chiedeva come si potevano cucinare in casa delle buone lasagne o un classico polpettone, alle Simili venne in mente di aprire una scuola di cucina. Insomma, si fecero carico di una sorta di necessità  sociale, quella di insegnare a fare da mangiare a chi non aveva appreso i segreti della buona cucina e, soprattutto, di indicare le economie - non solo finanziarie, ma anche caloriche - indispensabili alla conduzione quotidiana di una famiglia. Immaginiamo che, come il forno, anche la scuola sia stata una palestra di vita, un luogo di incontri che trascendevano la semplice arte di tirare la sfoglia, e Valeria mi dà  conferma: "La scuola per noi era un grande impegno. La mattina presto si andava a fare la spesa, poi c'erano le ore di lezione ed il pranzo assieme agli allievi; alla fine si doveva pulire tutto - piatti, stoviglie e pavimenti - e quindi pensare alla lezione del giorno dopo. Ma ci dava anche una carica umana incredibile, un senso di grande gioia, soprattutto quando ci si sedeva tutti per mangiare quello che si era preparato. La scuola l'abbiamo lasciata solamente perchà cominciavamo ad essere stanche di quei ritmi; ci dispiace un pò, ma adesso abbiamo modo di rifarci con le molte lezioni pratiche che teniamo in tutta Italia ed all'estero. Se chi ci chiama ci sta simpatico e ci dà  affidamento, noi andiamo un pò dovunque, con i nostri taglieri ed i nostri mattarelli. Non abbiamo bisogno di macchine perchà non le abbiamo mai usate, anzi ci piace dire che non ci siamo mai private della soddisfazione di impastare a mano: ognuno, si sa, ha i propri vizi! Non che non vada bene usare l'impastatrice o la macchinetta per tirare la pasta - comunque bisogna conoscerne bene il funzionamento, altrimenti ti escono delle schifezze - ma noi preferiamo fare e insegnare a fare tutto a mano. E' il nostro stile, il motivo che ci distingue". "Un Kenwood" insiste Margherita "ce l'avevamo anche noi, ma lo usavamo solo per grattugiare il formaggio". "Anche se poi siamo riuscite a rovinarlo lo stesso" conclude Valeria. I loro insegnamenti, raccolti in alcuni libri e videocassette, sono un misto di esperienza e di precisione per la pulizia, il peso degli ingredienti, e soprattutto, la scelta degli stessi. Ridendo, però, ti raccontano delle volte, per la verità  poche, in cui hanno sbagliato un impasto o una sfoglia, di solito quando si trovavano in un ambiente che non conoscevano, magari troppo secco - e allora si rimediava mettendo delle pentole d'acqua a bollire sul fuoco - oppure avevano a che fare con taglieri ancora nuovi e troppo porosi. "Quello che conta per fare una buona sfoglia o un buon pane sono due cose soltanto: una buona farina, che bisogna usare fresca ma non appena macinata, che non va troppo bene, setacciandola prima di usarla. Se si trova una farfallina - dice Valeria - va benissimo: la si leva e si lavora ugualmente. Molte farine oggi sono purtroppo piene di porcherie chimiche, che noi odiamo ed evitiamo. Meglio, piuttosto, una farfallina". "Inoltre - si inalbera Margherita - siamo contrarie anche al dado da brodo e alla panna da cucina, quella pastorizzata, che per noi non esiste!". "La seconda cosa, fondamentale, à la sensibilità  della persona che mette le mani in un impasto. Questa in parte la si ha dentro e in parte la si acquisisce con l'esperienza. Fare il pane e la pasta à semplice, basta solo dedicarcisi spesso". A vederle oggi, così sorridenti e pronte ad affrontare sempre un nuovo viaggio, viene da pensare che abbiano fatto ampie scorte di vita: ora sono in procinto di partire per Napoli, dove hanno in programma alcune lezioni sul pane; qualche giorno dopo saranno in un'altra città  per un corso sulla sfoglia e poi andranno 10 giorni in Giappone. "Ci siamo già  state altre due volte, così come in Australia e in Brasile. La Nuova Zelanda, invece, l'abbiamo vista una volta soltanto. Peccato, ci piaceva molto!". Poi torneranno a Bologna, ma soltanto per poco tempo: subito ripartiranno per le Canarie, dove come ogni anno festeggiano il Natale con la sorella Gabriella, qualche anno più vecchia di loro. Come dire: avere 70 anni e nessuna voglia di sentirli.
( F.Giavedoni)
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